comunicato stampa campagna popolare agricoltura contadina

Campagna popolare per l’agricoltura contadina – 2009

Il mondo rurale faceva vivere la terra e gli uomini. Teneva in equilibrio le comunità con i loro ambienti; curava la fertilità dei terreni e delle piante, perché senza fertilità sarebbe presto scomparso e presto sarebbe scomparso il mondo abitato; dava nutrimento a tutti e, solo per questo, il lavoro dei contadini è il più importante dei lavori, anche se nella considerazione pubblica stava all’ultimo posto in quella scala sociale dove in cima stavano i sovrani, i sacerdoti, i professionisti della parola scritta e della guerra.

Oggi non è facile parlare così di un’agricoltura che spesso non cura la terra, ma la consuma e ne fa steppa, erodendone la fertilità ed erodendo quella delle piante e la loro diversità, per dare spazio a monocolture di una o poche varietà: sempre più sterili, sempre più redditizie per chi le commercia e – fatti i conti, ma fatti bene – sempre più costose per tutti. Un’agricoltura che non dà nutrimento più di quanto non dia malattia e porti con sé il deserto. Questo è ciò che vive nel modo industriale e finanziario di considerare la terra. Dove gli uomini sono mani per fare girare numeri e macchine, e sono stomaci, e uteri per nuove mani e stomaci. Dove le piante sono cloni votati alla massima resa, costi quello che costi. Dove gli animali sono carne, latte, uova e macchine per riprodursi di più e più in fretta. Dove il patrimonio genetico di piante, animali e uomini è territorio di manipolazione e brevetto. Dove i prodotti servono prima di tutto al gioco d’azzardo degli investitori. E si potrebbe andare avanti così, bilanciando l’abbrutimento e il denaro, senza neanche il bisogno di nominarlo; e con l’abbrutimento, la sofferenza, il disastro ambientale, la miseria culturale, la follia.

Un’altra agricoltura, intanto, sopravvive, nascosta più di quanto sia residuale, ancora straordinariamente diffusa in Italia e popolare, anche se non se ne parla e, apparentemente, non fa i grandi numeri dell’economia. E’ quella più vicina al lavoro delle persone e alla cultura delle comunità, ai bisogni più elementari e a un’economia ciclica; praticata per professione o passione o necessità da chi mangia i propri prodotti perché produce prima di tutto per sé e la propria famiglia e poi anche per vendere; quella che coltiva prodotti, non contributi; quella che mantiene in vita sementi, esperienze, consuetudini, l’humus della terra e le falde dell’acqua. E’ l’agricoltura dei contadini che non sono imprenditori e tanto meno industriali della terra.

Quest’agricoltura, per quanto diffusa, è quasi invisibile allo sguardo della legge che non la riconosce come costituzionalmente diversa (e perfino opposta, negli effetti) dall’altra e non ne sa ascoltare la voce.

Il farsi avanti dell’Europa ha peggiorato questo stato di cose, visto che le direttive in materia di agricoltura sono scritte sotto l’approvazione di quegli Stati dove l’industrializzazione della terra e il ricorso alla monocoltura e all’uso intensivo della terra sono più spinti.

I contadini, forzati a diventare imprenditori, pena l’invisibilità, devono così subire norme sanitarie e fiscali e imposizioni burocratiche pensate per l’agricoltura industriale, ma per loro solo demoralizzanti e nella sostanza inutili.

Così, nel tempo, “agricoltura” è diventata una parola ambigua, dove convivono contadini e industriali, e dove in mezzo si collocano piccoli e medi coltivatori e allevatori, ma anche ristoratori e albergatori mimetizzati da agriturismi e operatori del tempo libero, sempre più educati alla cultura d’impresa. E dove tutti sono trattati pressoché allo stesso modo. Ingiustamente.

Con questa consapevolezza e per passare dalla protesta, dallo scoraggiamento, dall’affeimazione di principi a una proposta semplice e pratica, il 17 gennaio 2009, a Torriglia (Genova), nei locali del Parco regionale dell’Antola dove ha sede il Consorzio della Quarantina, è ufficialmente partita la Campagna popolare per il riconoscimento dei contadini e per liberare il loro lavoro dalla burocrazia.1

L’iniziativa, che terminerà l’11 novembre 2009,2 punta a raccogliere il maggior numero di adesioni e di firme per ottenere, attraverso una petizione, il riconoscimento di una figura – il contadino – che oggi legalmente non esiste. Non il contadino del passato, schiacciato sulla terra dalle servitù signorili, dagli obblighi verso i padroni, dalle decime, dai lacci fiscali; ma un nuovo contadino, rispettoso della fertilità della sua terra, orientato all’autosufficienza e alla vendita diretta, libero dalle troppe carte, che non si riconosce come imprenditore agricolo, che non vuole coltivare finanziamenti pubblici, che non ambisce a possedere più terreno di quanto non possa coltivare, ma chiede di potere esistere e di lavorare in pace, senza il peso della burocrazia e dei regolamenti di mercato.

In “Lettere a una professoressa” (1967) don Lorenzo Milani ricorda che nulla è più ingiusto che fare parti uguali tra disuguali. Così anche trattare allo stesso modo – come succede oggi – con lo stesso regime normativo, sanitario e fiscale

  • chi, da una parte, pratica un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata sulla tradizione familiare o su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia, ma irrinunciabile per mantenere fertile e curata la terra (soprattutto in montagna e nelle zone economicamente marginali), per mantenere ricca la diversità di paesaggi, piante e animali, per mantenere vivi i saperi, le tecniche e i prodotti locali, per mantenere popolate le campagne e la montagna; e
  • chi, invece, pratica un’agricoltura orientata al profitto e all’ottenimento di premi e contributi; spesso fondata su monocolture monovarietali; erosiva della biodiversità, dell’acqua e della fertilità del suolo; disattenta per la salute di chi lavora la terra e i suoi prodotti e di chi li consuma; indifferente allo sfruttamento delle persone e delle risorse ambientali;

è profondamente ingiusto e – se la legalità si fonda sulla giustizia – è illegale.

La Campagna è il primo passo per arrivare al riconoscimento dei contadini, intesi come categoria separata da quella dell’ “imprenditore agricolo” che, attualmente, è l’unica riconosciuta in agricoltura.

Gli obiettivi dell’iniziativa sono:

1. chiedere al Ministro delle Politiche Agricole e – per ciò che riguarda le competenze regionali – ai Presidenti delle Regioni di riconoscere i contadini e per loro disporre:

  1. particolari regimi normativi fiscali e sanitari (differenti da quelli previsti per gli imprenditori e, in particolare, per chi pratica l’agricoltura in grande scala) e
  2. regole burocratiche leggere e semplificate;

2. costruire e condividere con tutti coloro che praticano l’agricoltura contadina un primo paniere di richieste semplici e concrete per provare a dare soluzioni ai problemi comunemente denunciati da chi lavora dentro e intorno al mondo rurale: un paniere di richieste che sia anche un “promemoria” perché i contadini ricordino chi sono e di cosa hanno bisogno.

Il testo della petizione, articolata su 5 punti, è preceduto da una premessa.

Esiste un numero imprecisato di persone che praticano un’agricoltura di piccola scala, dimensionata sul lavoro contadino e sull’economia familiare, orientata all’autoconsumo e alla vendita diretta; un’agricoltura di basso o nessun impatto ambientale, fondata su una scelta di vita legata a valori di benessere o ecologia o giustizia o solidarietà più che a fini di arricchimento e profitto; un’agricoltura quasi invisibile per i grandi numeri dell’economia.

La premessa parla dei contadini, di tutti i contadini, non solo di quelli che non usano diserbanti e concimi chimici, che sanno cosa è la diversità e sono coscienti del suo valore; senza distinzione né ideologia, include tutti quelli che praticano agricoltura familiare e locale su piccoli appezzamenti, sia che lo facciano per riscoperta e scelta di vita, sia – e sono la maggior parte – che coltivino per consuetudine, per eredità familiare, per autosussistenza, perché è “naturale” coltivare la terra e mangiare i propri prodotti e venderli, anche se non sempre sanno cosa sia l’agricoltura biologica e la “decrescita felice” e tanto altro ancora. La premessa comprende tutti i piccoli e piccolissimi produttori, perché la scelta di dire “l’agricoltura contadina non è quella industriale, quindi ci vogliono leggi diverse e un diverso riconoscimento sociale, politico e normativo” è per tutti.
C’è un mondo, fatto di tanta gente, con tante idee, con tanti approcci alla terra, con tante storie alle spalle, ma questo mondo è invisibile e poiché è invisibile si può procedere a cancellarlo: chi aderisce alla Campagna vuole che questo mondo sia visto e riconosciuto, perché chi coltiva – comunque lo faccia – tiene in piedi la montagna e le campagne e fa vivere quella diversità di varietà che ci fanno onore e ricchezza e che, altrimenti, non ci sarebbero già più.

Dei cinque punti della petizione, il primo è dedicato in generale a quelli che, indipendentemente dalla loro attività e mestiere, coltivano un pezzo di terra – fosse anche grande come un “fazzoletto” – per autoconsumo o per la vendita diretta e senza intermediari); gli altri quattro sono dedicati a chi pratica l’agricoltura come occupazione prevalente4 (purché questo si faccia per autoconsumo o per la vendita diretta e senza intermediari).

Il primo punto stabilisce un principio di libertà valido per tutti:

  • produrre e confezionare personalmente ciò che è coltivato nel proprio terreno per la vendita diretta (cioè, fatta personalmente dal produttore al consumatore finale senza intermediari) non deve essere soggetto a restrizioni sanitarie, esattamente come succede per l’autoconsumo.
  • la vendita diretta dei propri prodotti non è un atto di commercio: quindi non deve essere vincolata alle norme fiscali sul commercio, esattamente come succede per il dono e lo scambio.

Così si afferma che chiunque abbia un pezzetto di terra e ci produca qualcosa per sé e per la vendita diretta al consumatore finale, senza intermediari, non è un commerciante né un imprenditore e la sua vendita non deve essere considerata un atto di commercio.

L’assenza di norme sanitarie non esclude comunque la responsabilità personale di chi produce, trasforma e confeziona il prodotto nel caso che questo rechi danno a chi lo consuma.

A partire dal secondo punto, la petizione si rivolge specificamente a chi, come occupazione prevalente, fa il contadino, così intendendo chi

  • svolge attività agricola per l’autoconsumo e per la vendita diretta ai consumatori finali e anche agli esercenti locali5 di vendita al dettaglio e ristorazione;
  • non è lavoratore dipendente, né libero professionista, né ha sotto di sé dei dipendenti che non siano lavoratori avventizi).

Le richieste per i contadini riguardano: l’esenzione da ogni obbligo burocratico e imposta riguardanti la loro attività, l’esenzione dalle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza degli alimenti, l’esenzione dai vincoli progettuali e urbanistici per la costruzione di piccoli annessi agricoli e la ricostruzione di manufatti rurali; il diritto di macellare direttamente i capi di bestiame nati e allevati nel podere, di esercitare l’attività di ospitalità rurale, di pagare contributi minimi, di ricevere gratuitamente e a domicilio servizi di assistenza relativi alla loro attività.

Tra le numerose adesioni finora pervenute,6 non sono mancate alcune perplessità, soprattutto sul punte riguardante la richiesta di esenzione dalle norme in materia di sicurezza e igiene – peraltro in parte prevista dalle norme comunitarie in vigore. Se i contadini non dovessero più essere soggetti a certi obblighi e divieti, come potrebbe essere garantita la salubrità degli alimenti? In effetti, l’agricoltura è popolata di garanti e certificatori: sembra quasi che i contadini siano bugiardi fino a prova contraria e per questo abbiano bisogno di qualcuno che garantisca per loro. Ma se i sistema di controllo e garanzia possono essere utili per l’agroindustria, quando la vendita è “diretta e senza intermediari”, e quando chi mangia può visitare e, così, conoscere il luogo, la terra e il modo che danno vita ai prodotti, è sufficiente l’autocertificazione e, quindi, un rapporto fiduciario diretto tra chi coltiva o prepara i prodotti e chi li mangia.

Peraltro, chi non si fida dei produttori e ha bisogno di un garante o di una certificazione può continuare a rivolgersi ai produttori certificati o alla grande distribuzione organizzata. E’ un bisogno legittimo, così come è legittimo che chi coltiva un po’ di terra possa trasformare e confezionare liberamente i propri prodotti per la vendita “diretta e senza intermediari”, senza sottostare a controlli, spese e burocrazia.

Questa Campagna fiorisce in un periodo di particolare attenzione e sensibilità per il risveglio del mondo rurale. Bisognerebbe parlare non solo di “risveglio”, ma anche di “riabilitazione”, visto il tentativo di cancellazione del mondo rurale e dell’agricoltura contadina avviato intorno alla metà del sec. XX e ancora in corso. I segni di questo risveglio sono numerosi: vanno da una rinnovata attenzione del mondo giovanile, prima riservata solo ad alcune nicchie sensibili ai problemi dell’ecologia e alle critiche verso la società dei consumi; a un’attenzione – qualche volta eccessiva e persino dannosa – dei mezzi di comunicazione sui prodotti considerati “tipici” o “locali”; a una critica alla brevettazione dei semi, alla diffusione delle varietà geneticamente modificate (ogm) al recupero e alla conservazione delle varietà tradizionali7; a una crescita dell’editoria specialistica. In questo stessi mesi – sui temi prossimi a quelli della campagna, ma con una forte connotazione teorica e morale – sta circolando anche una Carta per il rinascimento della campagna8.

La Campagna è solo un primo passo e le richieste che avanza sono una piccola parte di quelle che meriterebbe chiedere.

E come per i contadini, così ci sarebbe molto da dire e da fare a favore delle necessità e dei diritti dei piccoli pescatori, dei pastori, degli artigiani di bottega e delle botteghe di paese. Ma esiste il rischio di esaurirsi nelle proteste, nello scoraggiamento, nell’affermazione di principi, mentre le leggi miopi o asservite, i valori orientati al profitto, la tirannia del pensiero unico, imperversino e come tempesta spazzino via le espressioni del bene comune e le libertà originarie delle persone. E quel mondo rurale che ancora fa vivere la terra e gli uomini.9

1 L’avvio della Campagna è stato concordato il 17 gennaio 2009 tra i rappresentanti delle prime organizzazioni promotrici e contitolari dell’iniziativa: associazione Antica Terra Gentile (Lessinia), associazione nazionale Civiltà Contadina, associazione Consorzio della Quarantina (Liguria), rete Corrispondenze Informazioni Rurali, Rete Bioregionale Italiana. Primi sostenitori: collettivo Critical Wine di Genova, rete Ruralpini.

Possono essere promotori e contitolari della Campagna, le associazioni e le reti di contadini (o composte prevalentemente da contadini); possono essere sostenitori le organizzazioni e gli enti di qualunque natura.

2 Per l’inizio e il termine della Campagna sono state scelte due date simboliche: 17 gennaio, giorno di sant’Antonio Abate, patrono degli animali rurali e dei contadini; 11 novembre, giorno di san Martino, quando finisce e ricomincia l’annata agraria.

3 La petizione – costruita attraverso la discussione fiorita per 8 mesi tra numerose persone che da anni si occupano di queste tematiche, in particolare da: Alberto Olivucci, Giannozzo Pucci, Marco Chiletti, Massimo Angelini, Michele Corti – nella sua prima formnulazione era articolata in 12 punti, poi 7, infine 5, per escludere le richieste senza unanimità di posizioni e intenzioni.

4 L’ “occupazione prevalente”, secondo la comune dottrina giuridica è legata al tempo impegnato non al reddito (com’è, invece, nella nozione di “attività prevalente”). Quindi, chi dedica la maggior parte del proprio tempo all’agricoltura ne fa la propria occupazione prevalente anche se da essa non ricava la maggior parte del proprio reddito o, addirittura, non ricava reddito.

5 La definizione di “locale”, qui riferita agli esercenti di vendita al dettaglio e ristorazione, nella recente normativa è sufficientemente chiarita e normalmente vuole dire la provincia di appartenenza e le province confinanti. Comunque, poiché si parla di vendita diretta, non serve mettere confini o limitazioni, visto che i limiti sono connaturati alla possibilità e all’interesse che ciascuno ha di vendere direttamente e personalmente un prodotto. Difficilmente qualcuno venderebbe prodotti oltre 50 km dalla propria abitazione, perché potrebbe volerci troppo tempo ed essere economicamente sconveniente.

6 Oltre 2000 firme nel primo mese.

7 Su questi temi, il sito della Rete nazionale Semi Rurali: www.semirurali.net.

8 Carta per il rinascimento della campagna e delle libertà originarie e naturali dei contadini e dei popoli indigeni, steso da Giannozzo Pucci e firmato anche da Maurizio Pallante, Vandana Shiva, Wendell Berry, pubblicata sull’ “Ecologist taliano”, 2008, 8, pagine 162-175.

9 In che modo si può partecipare alla campagna popolare:

– innanzitutto firmando e facendo firmare la petizione web sul sito www.agricolturacontadina.org;

– raccogliendo firme sul modulo della petizione e organizzando punti di raccolta;

– incoraggiando la propria organizzazione a diventare promotrice dell’iniziativa o a sostenerla;

– lasciando proposte sul futuro campagna e integrazioni al testo della petizione che, al termine dell’iniziativa, saranno discusse fra i promotori (quelli che ci sono e che si aggiungeranno) e se approvate all’unanimità dei presenti serviranno per scrivere un documento separato che sarà presentato insieme con la petizione.