Il pezzo che riporto è stralciato da una intervista di Carta a Moni Ovadia. Se volete leggerlo per intero cliccate sul link http://www.carta.org/2011/05/il-giorno-in-cui-scoppiera-la-pace/.
Moni Ovadia dice –
Nel corso del tempo mi sono fatto questa idea:il giorno in cui scoppierà la pace succederanno cose straordinarie in quelle terre, ma emergeranno prepotentemente contraddizioni interne e pulsioni culturali e spirituali a lungo sopite, che a mio parere covano sotto la cenere. Io temo che una parte della società israeliana, inconsciamente (e forse qualcuno consciamente), sia terribilmente spaventata dalla pace. Nello stato di belligeranza fredda o di conflitto con l’altro è più facile riconoscersi, l’identità può essere tracciata con maggiore certezza. La pace può essere difficile, problematica. Se l’altro, il nemico, non è più il tuo problema, sei tu a diventare il tuo problema. Si apre una rimessa in questione delle certezze, emergono spinte contraddittorie. Per esempio: la vocazione all’esilio, che non si può reprimere e tantomeno espungere dall’identità ebraica finché rimane tale. Oppure l’abisso della Shoà, oggi usato strumentalmente dal governo reazionario israeliano per legittimare con un’argomentazione di tremenda forza l’oppressione ingiustificabile di un altro popolo. Se scoppia la pace emerge l’urgenza di “sconfiggere Hitler” per fare uscire la memoria dello sterminio nazista dall’ossessione e dalla paranoia e farla diventare memoria creatrice di un nuovo umanesimo universalista, come propone la fondamentale opera dell’ex presidente della Knesset, il parlamento israeliano, Avraham Burg. Solo così la pace con i palestinesi e più in generale con il mondo arabo e quello musulmano si può trasformare da questione geopolitica in alba di una nuova era. È necessario avere il coraggio di osare e di seguire le parole di Nelson Mandela: «La pace non è un sogno, ma per conquistarla bisogna saper sognare».