PER anni hanno lavorato come braccianti e dipendenti, poi hanno deciso di far da soli. Hanno prima affittato, poi comprato un pezzo di terra e si sono messi a coltivarla. È la storia, quasi identica per tutti, degli stranieri diventati agricoltori. Numeri piccoli, quasi irrilevanti secondo le associazioni di categoria, ma che rappresentano i primi passi di una galassia di lavoratori che ha deciso, da quattro o cinque anni, di mettersi in proprio.
Poco più di duecentocinquanta avanguardie di un settore nel quale però gli stranieri fanno la parte dei leoni tra gli operai più che tra gli imprenditori. E i numeri lo dimostrano: gli addetti piemontesi all’agricoltura non italiani sono 10.350 extracomunitari e meno di 8mila comunitari. Mentre le aziende agricole guidate da imprenditori stranieri, su un totale di 67mila, sono 107 di extracomunitari e altre 154 proprietà di cittadini comunitari.
Ottantatré sono piccole o piccolissime e hanno al massimo due o tre dipendenti, quasi tutte a conduzione familiare, ma generano, complessivamente, un discreto volume d’affari che supera i dodici milioni di euro. Nel mucchio, va detto, vanno contati anche gli svizzeri, che sono sì extracomunitari, ma non rientrano esattamente nell’identikit del lavorante agricolo che si mette in proprio. Hanno iniziato, assieme a tedeschi e danesi, a colonizzare alcune aree delle Langhe e del Monferrato, tra Astigiano e Cuneese. Hanno comprato prima la casa e poi la terra e si sono messi a fare il vino o i formaggi.
Tutta un’altra storia però rispetto a quella di Serrah Fatah, algerino di Relizane e in Italia dal 1993. Ha lavorato per 15 anni sotto padrone nelle campagne di Brandizzo. “Poi lui era vecchio, voleva smettere e io avrei perso il posto – racconto – ma ho famiglia non potevo farlo: a 40 anni chi mi prende”. A quel punto la decisione, quattro braccianti che si mettono insieme e rilevano la terra su cui hanno lavorato per altri fino a quel giorno. Nel 2004 vede la luce così “Il Mediterraneo”, azienda agricola che produce pomodori, insalata, zucchine, melanzane che Serrah vende ogni giorno ai mercati generali di Torino. “Dal 2007 siamo solo due a lavorare e ora vorremmo altra terra per coltivare meglio: qui ci sono pietre e non è molto adatto agli ortaggi”, ammette dopo una giornata sui campi
E hanno deciso di far da soli anche Zhong Jinyung e sua moglie Dong che coltivano verdure nelle campagne di Carmagnola a meno di trenta chilometri da Torino. Sono arrivati in Italia dodici anni fa e hanno iniziato con un orto, per coltivare le verdure per la famiglia. Negli anni l’orto è cresciuto e ora la famiglia Jinyung lavora quattro ettari di terra da cui nascono, ad esempio, 3 mila cavoli ogni anno. Cavoli cinesi, però, perché inserirsi in un sistema economico significa anche immettere un po’ della propria cultura. E sui campi di Carmagnola nascono perciò verdure rigorosamente cinesi. Cetrioli amari, fagiolini lunghi un metro, melanzane chiare, strette e allungate, pakcioi, zucche tonde più grandi di un’anguria.