Certificazioni partecipate

IL PERCORSO SPERIMENTALE DELLA CERTIFICAZIONE PARTECIPATA

Queste sono le riflessioni che le persone interessate, o che hanno concretamente partecipato, al percorso sperimentale hanno scritto . Credo che sia la prima volta in assoluto che questo succede nel connettivo Tterra, cioè che le riflessioni e i pensieri di consumatori, produttori e trasformatori vadano oltre “la tradizione orale” Come potete vedere alcuni contributi sono stringati altri oltremodo prolissi, alcuni si potrebbero definire poetici, noi speriamo abbiate la pazienza di leggerli e riflettere per contribuire ad andare avanti. Questo è il solo motivo per cui sono stati scritti
La visita partecipata è uno strumento e come tutti gli strumenti si può utilizzare… suonare… o lasciare in un angolo a prendere la polvere. Non accade nessun disastro se non se ne approfitta… certo non potremo allietarci con il suo suono. Personalmente ho contribuito ad una sola visita partecipata; ne ho apprezzato l’opportunità di un livello di relazione tra produttore e cittadino (anche tra produttore e altri produttori) che nei mercati, per quanto possibile, è quantomeno complesso da raggiungere. Penso che nel panorama di mercati biologici, naturali, etici, critici… ecc… il rapporto tra chi produce e chi acquista sia la chiave di volta che sostiene l’ingresso in un’antica-nuova economia. Certamente il cittadino può non essere in grado di certificare il produttore, ma di sicuro dovrebbe poter avere la possibilità di scoprire o riscoprire chi e cosa c’è all’origine dei prodotti che consuma; anche questo può avvenire anche nei mercati, ma probabilmente con un processo più lungo e con un  impiego maggiore di fiducia. Maggiormente questo strumento sarà utilizzato ed esponenzialmente i cittadini si faranno un’immagine chiara della realtà dei contadini e degli artigiani che portano ai mercati i loro prodotti.

Laura dei Saponi(?) trasformatrice TterraIntroduzione generale su ciò che è attualmente

 

La ‘certificazione partecipata’ è un’iniziativa di cui siamo venuti a conoscenza all’interno del mercato terra/Terra. Ci siamo arrivati grazie ai produttori del Lazio sud orientale molti attivi riguardo a questo percorso,

E’ comunque un percorso che varie realtà in Italia hanno intrapreso con modalità più o meno simili, ma ancora non coordinate tra loro, per quanto ne sappiamo.

L’idea, che è assolutamente in evoluzione ed in via di definizione, è quella di creare un percorso ed uno strumento partecipativo che connetta i produttori ed i consumatori, siano essi singoli, gas o organizzati in qualche modo.

Partendo dalle contraddizioni delle certificazioni ufficiali che innescano spesso dei conflitti di interessi tra certificatori e certificati, si prova a fare un percorso in qualche modo autogestito. Si tratta per ora di visite a dei produttori di t/T che fanno richiesta di entrare nel mercato o di produttori che già ne fanno parte.

Il percorso lo si sta costruendo con tutte le migliorie possibili e le contraddizioni del caso, ma soprattutto le resistenze da parte delle diverse sensibilità a riguardo. Nella ricerca dei vari obbiettivi che passano anche per la coltivazione biologica o naturale, per l’etica dei produttori, per il rispetto della terra e dell’ambiente, di un cibo sano e del lavoro (nelle sue varie accezioni), per la consapevolezza dei consumatori, si battaglia, tra riunioni, confronti, visite ed alternanza di frequentazioni più o meno ricche. Vi è chiaramente un nocciolo duro che fa parte di un gruppo di lavoro.

Abbiamo partecipato personalmente come ‘consumatori critici’ già a 6/7 visite.

 

La visita della ‘certificazione partecipata’ si svolge attualmente così: vi sono delle schede gestite e presenti sul sito di t/T che il produttore compila e nelle quali risponde ad una serie di quesiti di base che danno un’indicazione di cosa e come produce. t/T è divisa per zone di produttori, noi abbiamo partecipato in genere a quelle della zona sud, ma non solo. All’incontro sul posto, in data concordata, sono presenti produttori, consumatori e produttori affini, questi ultimi assolutamente necessari a stimolare la discussione e rendere evidenti eventuali aspetti contraddittori in quanto competenti in quell’ambito specifico produttivo e, non di meno, nell’ottica di una sana competizione che avverrebbe all’interno dello stesso mercato.

In genere comunque è un’ottima occasione di condivisione di momenti conviviali, per fare nuove conoscenze di realtà diverse ed in genere impegnate sul territorio.

Ogni realtà presente relaziona via mail quanto osservato e tutte le relazioni stesse, raccolte da un coordinatore, usualmente uno dei produttori affini, e il tutto viene postato in una sezione dedicata del sito t/T a memoria e testimonianza anche delle reali capacità produttive che il produttore del caso è in condizione con le sole proprie forze di immettere sul banco al mercato, anche per evitare intermediazioni che non sono previste in quest’ambito. Chiunque può farsi un’idea delle modalità di lavoro di ogni singolo produttore e della qualità presunta dei suoi prodotti.

Si sta tentando di avviare anche dei percorsi che riguardano i trasformatori e gli artigiani, anche se lì la faccenda è più complessa per seguire il percorso completo dei prodotti primari utilizzati.

 

 

Considerazioni più specifiche

 

Cercare di definire la certificazione partecipata in questo tentativo di percorso condiviso tra produttori e consumatori, in particolare nella realtà t/T, non ci risulta una cosa facile.

 

Esprimere di primo acchitto dei desiderata su quello che a noi piacerebbe fosse questo percorso ci porta naturalmente a delle aspirazioni che, riflettendoci, risultano fortemente ideali. In effetti ci piacerebbe che la c.p. fosse un’occasione non solo di consapevolezza sulla qualità del cibo che mangiamo, ma anche di trasformazione della realtà all’interno della società nella relazione tra le persone e nel rispetto dell’ambiente, del territorio e del lavoro. Questo comporta la ricerca e la definizione di obiettivi che definiscano in che modo ottenere tali risultati. Aspirare ad un cibo sano presuppone da una parte onestà di intenti e di operato da parte di chi produce e dall’altra la capacità di effettuare scelte consapevoli e mirate da parte del consumatore. Solo aggirando e rinunciando a un mercato follemente globalizzato, che, in maniera superficiale e, oseremmo dire, senza scrupoli, resta concentrato solo sulla massimizzazione dei profitti, che calpesta il diritto alla salute, a preservare l’ambiente e a tutelare condizioni gratificanti e soddisfacenti del lavoro, nel rispetto dell’individuo, è possibile costruire un’alternativa compatibile con un mondo vivibile e che aspira a obiettivi di felicità e benessere collettivi e individuali, lontani da concezioni puramente edonistiche.

Nel momento in cui si ricerca un percorso di certificazione diverso da quello che è proposto attualmente dal mercato imperante vuol dire che, nel costruirlo, bisogna in qualche modo definire la propria visione di tale percorso, specificando i parametri sui quali si vuole agire. Ciò non vuol dire che durante tale cammino questi non possano essere modificati, ottimizzando gli strumenti per gli obiettivi che ci si è dati. Se consideriamo che già dobbiamo districarci tra definizioni diverse come agricoltura biologica, biodinamica, naturale, tradizionale, intensiva ecc, ecc, che a loro volta subiscono, in contesti diversi, variazioni di definizione specifica, ecco che, non solo per chi consuma, ma anche per chi produce, diventa complesso comprendere in quali ambiti ci si muove, sia nel chiarirli a se stessi, che nel proporli nei confronti di coloro con cui ci si relaziona. Con troppa disinvoltura e troppo spesso vengono attribuite ai prodotti diciture che rivestono ambiti che poi non risultano corrispondere a verità se non parziali. Da qui la necessità di costruire un percorso nel quale in collaborazione tra produttori e consumatori, ci si aiuta vicendevolmente a comprendere meglio il contesto in cui ci si muove e a definire gli obiettivi da raggiungere.

 

Per grandi linee un cibo sano dovrebbe implicare un terreno fertile e non soggetto ad agenti inquinanti sia che riguardino l’irrigazione, falde acquifere, corsi d’acqua limitrofi, acqua piovana, che la qualità della terra stessa inficiata molto spesso dalla presenza di elementi confinanti che possono comprometterla, si pensa a strade ad alta percorrenza, fabbriche o strutture inquinanti tipo discariche. La tutela di un terreno fertile passa anche per la qualità dell’aria, ma soprattutto per la mano dell’uomo, nel suo intervento sulla produzione senza sostanze dannose per le piante o l’utilizzo di strumenti che abbassino la qualità nutrizionale ed impoveriscano la biodiversità e la qualità della terra stessa: insomma parliamo dell’amore dell’uomo verso la natura e la madre terra, ma anche del rispetto verso i propri simili.

Ci sarebbe poi da tener conto dell’aspetto delle modalità dell’utilizzo del lavoro salariato e del contesto lavorativo che vi ruota intorno che genera considerazioni complesse, qui difficili da analizzare ed approfondire, ma che ci rendono ostili e per nulla indifferenti alle forme di sfruttamento e maltrattamento nei confronti dei lavoratori dipendenti.

Altri ambiti delle nostre riflessioni dovrebbero comprendere: l’aspetto di commerciabilità dei prodotti, in relazione alla problematica sui prezzi corretti sia per chi vende che per chi acquista; l’importanza dei prodotti locali che tendenzialmente possono garantire, forti di una tendenza alla logica del “km 0”, un netto contrasto agli spostamenti su grandi distanze dei prodotti freschi che ne sviliscono la qualità e contribuiscono all’inquinamento provocato dal gran viaggiare continuo di automezzi; l’utilizzo di imballaggi complessi che non favoriscono lo smaltimento dei rifiuti con problematiche annesse; non ultimo il problema da noi molto sentito del maltrattamento e dello sfruttamento degli animali.

Come su anticipato, tutto ciò è l’aspetto ideale che ci sovviene nel considerare gli elementi da affrontare nella definizione della c.p. da noi intrapresa.

Evidentemente sia le esperienze delle visite di c.p. effettuate fino ad oggi che le realtà che osserviamo intorno a noi, vedi la Campania ed in particolare il casertano e/o il frusinate e la provincia di Latina, con le problematiche dei rifiuti tossici interrati, ma anche tutte le battaglie sostenute da associazioni ambientaliste contro la devastazione dei territori da parte di grandi aziende inquinanti, delle multinazionali con interessi lontani dai cittadini, dei costruttori con obiettivi indiscriminati nei confronti del terreno agricolo e del territorio, di una politica spesso troppo corrotta e truffaldina, ci portano a riconsiderare questi aspetti ideali rendendoci consapevoli della necessità di intraprendere un percorso tristemente più legato alle nostre realtà contingenti e che ci costringe a ridimensionare i nostri obiettivi e a lavorare per ricostruire dal basso passo dopo passo la realtà a cui aspiriamo. Ecco che la rivalutazione dei criteri in forma più disponibile nei confronti di realtà di “agricoltura biologica intenzionale”, ci invoglia a sostenerla, laddove è evidente l’onestà d’intenti e la capacità creativa di portare avanti un progetto di produzione agricola o di trasformazione o di allevamento, e ci porta a considerare innanzitutto realtà produttive piccole, locali ed autogestite, lavorando in questa direzione nella prospettiva di migliorare nel prossimo futuro le condizioni di tali realtà tendendo ai punti ideali di cui sopra.

 

Concludendo, vorremmo però sottolineare che quest’ultima modalità ha anche dei grossi rischi in quanto, solo aspirando a degli obiettivi che nell’attuale contesto possono essere considerati utopici ma che in una realtà che definiremmo “normale” sarebbero null’altro che naturali, possiamo sperare di ottenere dei risultati nel senso di quanto esposto all’inizio. Restare radicati ad una concezione ideale ma sana di questo percorso, che può apparire inizialmente rigida, è l’unica via per non distrarci dalla prospettiva finale e difenderci da realtà che a tutti i costi tendono a svilire tali obiettivi.

 

 

Paolo e Angela, consumatori ‘critici’Roma

 

 

 

 

Considerazioni sul percorso della cert. partecipata: lo trovo positivo, permette  oltre alla verifica delle situazioni, un confronto tra i partecipanti, con approfondimenti che non sarebbero possibili altrimenti, con considerazioni professionali sull’indirizzo agricolo, valorizzando i rapporti territoriali, essenziali per la crescita del connettivo e dell’intervento territoriale, fatto di scambi , mercati locali, iniziative e comunicazioni. Svilupperei, la C.P, con più professionalità e meno formalismo. parliamone.

Bakunino (produttore vino Lazio Sud orientale) 

per quel che posso dire, è un momento per capire il lato umano di chi c’è dietro il nome, dove non si va come una guardia e si parla con toni amichevoli, quindi visite a sorpresa controlli sulle fatture e legalità hanno poco senso

il problema si pone quando si controlla una partita iva, quindi non parli con una persona che si presenta, ma con chi vuole proporsi a dei potenziali clienti. In questo caso mantenendo sempre toni amichevoli, si spiega cos’è la certificazione partecipata, quali obiettivi si pone, che si va a vedere più l’aspetto etico e non si fanno analisi dei terreni, la parola rispetto è ciò che interessa, che sia verso se stessi e chi ci aiuta, verso chi acquista e verso chi ci dona i suoi prodotti. Ecco perché si premia il piccolo e sopratutto chi porta il surplus.

Uljanov (biscotteria SulJma trasformatore locale Lazio S.O.)

 

Ho partecipato a tre visite organizzate per la fase di sperimentazione della certificazione partecipata. In tutti i casi ho avuto una impressione molto positiva del valore di queste visite, sia per la reazione riscontrata nei visitati che nell’entusiasmo dimostrato da tutti i partecipanti. E’ un percorso che va continuato senza alcun dubbio.Non voglio scendere in dettagli che sicuramente emergeranno anche da altri interventi, ma mi preme sottolineare come è importante la visita che viene fatta per verificare la realtà del produttore che a volte non emerge direttamente dalla lettura delle schede: il produttore risponde ai requisiti del produttore tipo di terra TERRA? e quale è questo produttore tipo? Contano di più le dimensioni o i valori?

Pietro e Marisa solo Piante Grasse (Vivaista Tt Roma)

 

Abbiamo partecipato ad alcune delle ultime certificazioni, e confermiamo la bontà di questa iniziativa. E’ proprio la qualifica della certificazione che la fa diversa, “partecipata” deve appunto significare vicinanza d’intenti tra produttore e consumatore. In queste nostre visite ai produttori abbiamo riscontrato proprio questo clima: un’appassionata ricerca di un modo diverso di offrire i prodotti della propria terra e delle proprie mani, nel rispetto di alcuni parametri minimi (autoproduzione e non manovalanza; coltivazioni e lavorazioni completamente naturali; controllo quasi completo del processo produttivo). Insomma, impressioni positive. Da semplici consumatori che hanno finora “certificato” piccoli produttori crediamo che la strada sia quella giusta,  Pina e Oliviero – consumatori di Largo Preneste

 

2013Prospettive del percorso verso certificazioni partecipate

 

 

 

Fare “certificazione” o “garanzia” partecipata secondo me vuol dire creare sia certezza sulla produzione che fiducia e collaborazione tra produttori e consumatori.

 

La visita sicuramente aumenta il livello di fiducia personale e inoltre può fornire informazioni oggettive di certezza e trasparenza sulla produzione.

La proposta è quindi di cominciare a qualificare-certificare, in questi casi reali, una serie di questioni condivise tra consumatori e produttori, così da creare anche una descrizione oggettiva delle informazioni raccolte.

In questo modo potremmo fare un passo avanti per produrre un risultato della visita con una struttura riproducibile per le prossime esperienze e che possa essere uno degli strumenti necessari per parlare più propriamente di certificazione partecipata.

 

Secondo me, ci vogliono diversi aspetti in un processo di certificazione tra consumatori e produttori.
– Condividere una traccia oggettiva da seguire durante la visita su cosa guardare e come guardarlo, specifica per tipo di produzione, anche partendo dalla scheda di autocertificazione t/T, mettendo in evidenza quelli che possono essere i punti critici
– Condividere la presenza attiva di una figura tecnica di fiducia, meglio se indipendente dai produttori e dai consumatori.
– Capire insieme quali sono i risultati dopo una visita, oltre all’insieme dei racconti.

 

-Come affrontare eventuali problematiche quando se ne trovano.
– Una traccia per sviluppare durante l’anno la conoscenza reciproca sull’andamento della produzione e del consumo, sullo scambio (la co-produzione ?).
– Come fare per rendere accessibili e comunicabili quelli che saranno i risultati di questo percorso.
Per portare avanti pienamente questo percorso servono delle risorse dedicate (per esempio potrebbe interessare un progetto di ricerca), intanto dovremo cominciare a ragionare per definire gli aspetti metodologici necessari e applicarli ai casi reali, almeno in maniera minima. Incrociando i principi di t/T con quelli dei GAS, faccio una proposta (modificabile) su quelli che mi sembrano i punti generali da descrivere durante una certificazione. Naturalmente non si tratta di dare giudizi, ma di creare conoscenza condivisa, utile per tutti.

 

– Economia: equilibrio tra dimensioni dell’azienda e della produzione/vendità, mezzi di produzione, trasparenza sulla costruzione dei prezzi, canali e modalità di vendita-trasporto, qualità delle forniture e degli investimenti, …

 

– Società: dignità delle condizioni di lavoro, rispetto della salute umana, equilibrio dei livelli di contribuzione, salvaguardia culturale, cura dei rapporti con i consumatori dei mercati – dei GAS, con gli altri produttori e consumatori del territorio, …
– Ambiente: pratiche rispettose dell’ambiente fisico e biologico (stagionalità, trattamenti, biodiversità dei semi, qualità del suolo e delle acque…), del paesaggio, della salute animale, equilibrio tra questioni locali e globali (consumi energetici, idrici, gas climalteranti, rifiuti,…),… …
Credo che dovremmo quindi decidere insieme (e scrivere) quali sono i pochi punti minimi-irrinunciabili perchè ci sia “certificazione-garanzia”, validi sia per t/T che per GAS e consumatori.

La definizione dei criteri condivisi tra consumatori e produttori, è il centro di tutto il percorso. Credo che dovremo metterci intorno a un tavolo per discutere e buttare giù un elenco condiviso, poi è chiaro che i livelli di interesse per un criterio o l’altro possono variare tra i soggetti. Potrebbero essercene di comuni vincolanti, ragioniamoci insieme.
Sul ruolo della figura tecnica, credo che terra/Terra dovrebbe provare a valutare positivamente la presenza di figure di fiducia dei GAS o dei consumatori, anche se non fanno parte di t/T. Non si tratta di certificazione bio, qui siamo su un altro percorso, dovrebbe essere chiaro a tutti. In parte è una questione di fiducia reciproca e di apertura concreta: i consumatori non solo seguono il percorso, ma contribuiscono a farlo evolvere. Il sospetto che può nascere in t/T per tecnici esterni è speculare al sospetto che può nascere nei consumatori per la presenza di tecnici solo di t/T: si tratta di venirsi incontro reciprocamente, integrare invece di sostituire, valutare caso per caso, ovvio che servono ogni volta competenze specifiche. La presenza anche di produttori esterni a t/T può essere uno stimolo al confronto, al dialogo, a mettere in pratica le idee.

Nelle due esperienze fatte finora, da Fabrizio Mannarino e da Mario Costa, l’attività dei produttori affini t/T è stata scarsa e non strutturata.

 

Per quanto riguarda la comunicazione esterna, sia sui siti di terra/Terra che della ReteGAS Roma e Lazio si possono dedicare aree su questo percorso. L’importante è trovare l’accordo su cosa scrivere, collaborando reciprocamente.

 

Mi sembra urgente creare una mailing list comune di discussione, per limitare le comunicazioni asimmetriche con gli indirizzi sparsi, difficili da gestire.

 

Cominciamo a raccogliere i contributi su quali criteri certificare in questi percorsi e poi a settembre facciamo una riunione per confrontarli e per strutturare il percorso comune.

 

I criteri da raccogliere sono almeno quelli generali, se poi volete anche con specifiche produttive; se ritenete evidenziamo eventuali criteri vincolanti (es: naturalità, mezzi di produzione, emissioni serra, ….) perché ci sia la “certezza-garanzia”.

 

 

Giulio

Gas San Paolo/Città dell’utopia

 

 

 

Riporto il mio parere sul percorso della Certificazione Partecipata di TerraTerra sulla base delle poche esperienze vissute finora direttamente o tramite internet.

 

E’ basilare che non dobbiamo assolutamente scoraggiare ma affiancare chi si muove fuori dai canali della Grossa Distribuzione Organizzata poiché spesso il problema non sono i produttori ma la cultura ed il territorio ereditati dalle precedenti generazioni.

 

Ci sono due aspetti dove siamo coinvolti:

1) rilevamento dei dati

2) valutazione e garanzia verso altri consumatori

 

Per il primo punto più oggettivo e meno impegnativo, implementerei la scheda compilabile dal produttore rendendola su alcuni punti più analitica. Aggiungerei:

– breve storia e presentazione, formazione e esperienza in tale ambito

– tabella nocività e relativa distanza

– malattie più frequenti per coltivazioni/allevamenti e rimedio utilizzato

– disponibilità eventuali analisi chimiche (acqua, terra, prodotti, ecc.)

– ecc ecc

 

Per il secondo punto è importante far sì che la valutazione sia più oggettiva possibile ed utilizzi lo stesso criterio di misura per tutti.

 

Stabilirei un criterio per l’individuazione della commissione dove non dovranno mancare le competenze. Per esempio: per valutare un agricoltore biodinamico quali figure occorrono?

 

La valutazione immagino sarà:

no

sì o no con riserva segnalando azioni da attuare entro una prossima visita

L’esito della valutazione dovrà essere motivato.

 

Per produttori certificati prevederei delle visite di conferma annuali, salvo particolari criticità.

 

Ricordiamo infine di cogliere l’occasione per proporre qualche suggerimento alle persone che incontriamo sia al livello tecnico che commerciale.

Possiamo per esempio suggerire i canali più adeguati per il tipo di produttore che non devono essere esclusivamente i mercati di Roma per i quali ci dovremmo impegnare affinché si sentano a loro agio. Ho qualche dubbio sulla presenza nello stesso spazio di produttori “genuini clandestini” e aziende agricole immagino superabili dall’enorme domanda della capitale ma chiedere qualche parere ai diretti interessati.

Tommaso GARS Labico

 

 

Con la visita al nuovo produttore di Ariccia Leonardo il percorso sperimentale della certificazione partecipata ( aka garanzia partecipata, autocertificazione partecipata ecc) giunge al numero 10, niente di trascendentale questo percorso non vuole e non può essere la panacea che risolve qualsiasi problema solo un tentativo di sedimentare su basi concrete, come il connettivo Tterra sostiene da sempre,il rapporto consumatore/produttore/trasformatore

La proposta emersa durante la visita ad Alfredo e Annarita (Velletri) di una riflessione anche scritta tra coloro che hanno contribuito o sono interessati al percorso è auspicabile (soprattutto produttori Terraterra del Lazio Sud Orientale e consumatori gas o singoli individui).

Prima di tutto una constatazione sui numeri andrebbe fatta per avere un’idea delle persone,produttori, trasformatori e consumatori consapevoli, coinvolte in questo percorso sperimentale appena iniziato.

Le dieci “visite” sono state rese sempre pubbliche come volontà di dare trasparenza   al percorso e strumenti di conoscenza e di critica a chi al percorso non partecipa o a chi vorrebbe partecipare.

Complessivamente hanno partecipato 109 persone, il numero dei consumatori è  superiore a quello dei produttori e trasformatori., Infatti mentre i 18 produttori/trasformatori di Tterra, provengono prevalentemente dal Lazio sud est e quindi sono stati presenti a tutto il percorso i 49 consumatori/trici non provengono dalla zona geografica in questione ma prevalentemente da Roma.

I consumatori sono persone che frequentano i mercati di Tterra e Gruppi di acquisto che hanno rapporti con uno o più produttori/trasformatori del connettivo Tterra.

Le due componenti che hanno partecipato lo hanno fatto pagando sempre di tasca propria lo spostamento necessario a raggiungere il luogo di produzione da visitare, spesso chi viene dalla città ha preso un permesso dal posto di lavoro e chi lavora in campagna ha rinunciato a tempo di lavoro altrettanto prezioso. Segnali da parte di entrambe le componenti, rurale e cittadina, di serietà, passione, volontà di sperimentazione e di mettersi in gioco.

In questo periodo i produttori e i trasformatori di Tterra del Lazio sud orientale si sono incontrati fuori dai mercati, fuori dalla scadenza mensile della riunione generale di Tterra, hanno discusso e si sono confrontati su diverse problematiche relative al loro lavoro, e questo penso sia estremamente positivo.

Alla base di questa sperimentazione vi è , secondo il mio punto di vista, una scelta concreta che hanno fatto sia i “clienti” che i produttori e i trasformatori:.

I primi sono diventati consumatori critici, consapevoli, non accettando il ruolo passivo di utilizzatori finali di cibo di cui non conoscevano né la provenienza né la qualità, gli altri hanno scelto una conduzione di piccole dimensioni basata sul rispetto dell’ambiente, degli animali e quasi sempre degli esseri umani coinvolti nella produzione/trasformazione

Questi due mondi si sono incontrati non su una base ideologica comune astratta ma appunto come inevitabile legittimazione reciproca di due percorsi che non possono che convergere poiché come è evidente sono interdipendenti.

Qualsiasi forzatura che pretende di partire da basi che non siano quelle concrete del consumo consapevole individuale/collettivo o della produzione e trasformazione del cibo è, sempre a mio parere, destinata ad essere strumentale e a fallire miseramente!

In questo senso va letto, sempre a mio parere , l’interruzione dell’esperienza iniziata il 12 febbraio 2013 nell’incontro tenutosi alla Città dell’utopia, ed il fallimento di“Terraterra incontra la città” al Forte Prenestino durante. .Enotica 2013. Un ulteriore errore è stato quello di non aver almeno tentato di ricavare da queste esperienze un minimo d’insegnamento per il futuro..

Il consumatore critico, singolarmente o organizzato in GAS, sia dentro che fuori dal percorso della certificazione partecipata è legittimato a pretendere sempre maggiori informazioni su ciò che mangia.

Questa pretesa è legittimata appunto dall’aver fatto una scelta concreta di sostegno ad una forma di produzione “virtuosa”, i tentativi di ricacciarlo nel passivo ruolo di “cliente fastidioso e pedante” alla lunga risulteranno inutili.

Inutile si rivelerà anche l’ottusa pretesa di alcuni produttori e trasformatori di vedere nella richiesta di trasparenza da parte dei consumatori un’intrusione nel loro mondo, la sopravivenza delle conduzioni e trasformazioni biologiche concrete e alternative all’azienda agricola capitalistica basata sul lavoro salariato e la produzione intensiva, può resistere ed evolvere solamente se diventa trasparente e si lega ai consumatori critici.

Sostenere che il percorso della certificazione partecipata possa avere dei risvolti burocratici, polizieschi, e autoritari è una legittima opinione che rimane tale se non si propone assolutamente niente in alternativa.

Coloro che, consumatori e produttori/trasformatori, si assumono l’onere anche per gli assenti di accettare o meno la richiesta di adesione al connettivo si prendono sulla spalle una grossa e delicata responsabilità

La costruzione di una esperienza comune tra consumatori e produttori/trasformatori potrebbe aprire una collaborazione strategica sulla messa in discussione della attuale assetto sociale, la fine di questa collaborazione riporterà le due figure nelle stesse identiche mani: l’intermediazione e la dipendenza di entrambe le figure dall’industria agro-alimentare.

L’evoluzione della collaborazione tra produttori e consumatori è un percorso che non può essere artificialmente accelerato a piacere, i tempi ed i passaggi successivi a quest’incontro saranno determinati dal superamento dei rispettivi timori di strumentalizzazione, il percorso della certificazione partecipata potrebbe essere utile a questa evoluzione.

Recentemente è stato posto l’interrogativo su cosa ci sarebbe dopo la certificazione partecipata, domanda più che legittima che dovrebbe essere posta su tutti gli aspetti di un percorso collettivo come quello di Tterra.

Il percorso sperimentale della certificazione partecipata, come tutti gli esperimenti scientifici o sociali ha bisogno per andare avanti di risultati: senza esperimenti non ci sono risultati, senza risultati positivi o negativi, è, e sarà impossibile procedere ad una eventuale fase successiva .

In altre parole senza un prima e un durante non ci può essere nessun poi. Solo aria fritta!

Mario (apicoltore terra terra Lazio se)

 

 

.Dicembre 2013